era un nascondersi per poi mostrarsi e poi tirarsi ancora una volta indietro.
Di certo non ero uno fra tanti. Appena potei andai via da scuola, ma non per inseguire un sogno.
Tutto sommato mi infastidiva guardare i miei coetanei sbattersi tanto per rincorrere piaceri di un momento.
No, preferivo di gran lunga restare fermo in apnea ad aspettare, e se niente fosse cambiato sarebbe andato bene lo stesso.
Con poca voglia lavoravo in una mensa per barboni, stile volontariato, ero il loro cuoco. Mi trovavo bene con loro, non si lamentavano mai di quello che preparavo e mi chiamavano signor Giovanni.
Mi piaceva sopratutto restare a guardarli da lontano, con le pentole accese, mentre si avvicinavano alle tavole. Mi piaceva immaginare le loro storie, i paesi lontani da dove venivano e gli scantinati dove si ritiravano a dormire la notte.
Guardavo le mie pentole e di solito erano loro a raccontarmi chi si sarebbe seduto a quei tavoli. Non avevo un vero e proprio menù, mi affidavo solo agli ingredienti che avevo... uova, riso, fagioli, insalata...
Non avevo grossi legami con nessuno e ciò mi piaceva, mi credevo libero.
Poi un giorno scrutando i miei ospiti la notai. Non era bella, ma non potevo fare a meno di fissarla, era lì seduta e non mangiava. Passò una settimana ed io preparai i miei piatti migliori, provai ad immaginare cosa le piacesse, ma niente. Ero in cucina arrabbiato perché c'era qualcuno a cui non piaceva ciò che cucinavo. Decisi di portarle personalmente il piatto e chiederle cosa diavolo ci fosse che non gradisse.
Mi sorrise e con calma mi chiese un piatto vuoto, lo portai. Prese la forchetta e divise il cibo in due e mi mise un piatto davanti. Poi mi fissò e disse:
"non mi importa del gusto di ciò che prepari, aspettavo solo qualcuno con cui poterlo condividere".
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