Contagi zero
tempo di pandemia, tempo per ritornare a scrivere un po’.
Lo faccio con ritardo. Lo faccio in una situazione
particolare, sentendo il peso della responsabilità delle persone che oggi mi
sono state affidate come parroco. Dal 19 marzo, in piena fase 1, sono stato
nominato parroco della comunità Maria SS. Assunta in Miano, capirete i
sentimenti che si muovono in me, da un lato una grande gioia, dall’altro paura,
senso di inadeguatezza per una situazione che nessuno poteva aspettarsi.
Siamo alle soglie della fase 2 ed il ritornello più forte
che si sente in questi giorni è riapertura sì, riapertura no. Anche come Chiesa
siamo interpellati ed anche come Chiesa non riusciamo a dare una risposta
corale, ma credo che ciò sia normale vista la situazione nuova che ci mette
tutti in fuorigioco, con poche certezze e tante paure.
Chi ha giocato a calcio sa di cosa parlo. È ciò che succede
la prima volta che giochi “da grande”, con tutte le regole. Vedi il tuo
attaccante da solo e lo lanci, lui stoppa, si gira verso la porta indisturbato
pronto a fare goal e l’arbitro fischia. L’azione è perfetta ma siete in
fuorigioco. È snervante, meglio se avessi sbagliato il cross o se il mio
compagno avesse stoppato male. Su quello possiamo allenarci, sul fuorigioco no.
Con il fuorigioco devi fermarti e studiare tattiche diverse.
Tattiche diverse sono quelle che come Chiesa vorrei che
riuscissimo insieme a far venire fuori, tattiche lontane dagli schemi del
mondo, il cui interesse e preoccupazione è giustamente la ripartenza economica.
Tattiche che hanno lo stesso obiettivo di sempre, fare goal, che per noi è
annunciare la buona notizia di Gesù, nonostante tutto. E invece rimango
impantanato nei soliti schemi, che oggi rischiano di non essere efficaci. Oggi
c’è il serio rischio che, lanciando semplicemente la palla diretta verso il mio
compagno, l’arbitro fischi ancora il fuorigioco, consegnando la palla al nostro
avversario. E questo non deve accadere.
Perché ci sono stati troppi morti, perché ci sono ancora
troppi morti, perché i contagi sono tanti.
E allora sogno qualcosa di diverso, sogno di imparare a fare
comunità nonostante le distanze, sogno di imparare ad amare e sostenere la mia
gente anche se non posso vederla fisicamente. Desidero così tanto la
celebrazione domenicale, desidero abbracciare la mia gente, consolarla nel
dolore, incoraggiarla nelle sconfitte ma so che tutto ciò oggi corre il rischio
di essere solo l’ennesimo lancio lungo che ci farebbe trovare in fuorigioco.
E allora continuo con la buona pratica delle tante tattiche
nuove che sono nate in questo tempo. Continuo ad essere presente seppur
distante, continuo a scegliere gli ultimi, continuo a rifiutarmi di ragionare
con le categorie del mondo. Non mi importa se tutti riaprono, a me importa
delle persone ed in modo speciale dei più deboli. E so che così facendo pian
piano riuscirò a trovare lo schema per il passaggio perfetto che porti il mio
compagno al goal. Uno schema che oggi forse può chiamarsi contagio zero, qualcuno dirà utopia, io preferisco profezia. Perché
oggi non sento per il mio popolo il bisogno di rivendicare il diritto alla
Messa, ma sento il bisogno di custodire le persone.
Abbiamo bisogno di profezia, capacità di non fermarci ai
nostri schemi ma di ascoltare e mettere in atto le tattiche nuove che il
Signore ci sta suggerendo.
Coraggio, continuiamo ad allenarci con i nuovi schemi che lo
Spirito ci sta insegnando e puntiamo al contagio
zero, celebrare insieme l’eucaristia sarà ancora più bello. Sarà il nostro
goal più importante.