Ti amo, ti
amo così tanto che farei qualsiasi cosa per te.
Era la frase
che Marta aveva più sentito dirsi negli ultimi anni. Lei, sulla quarantina, non
più giovane eppure bella, bellissima perché capace di dipingere in pochi attimi
una semplice storia in un affresco di passione. Sorrideva sempre Marta, eppure
a Luca il barista sotto casa sua non sembra così.
Aveva
l’occhio lungo Luca e gli piaceva fantasticare sulla vita delle persone che
passavano per un caffè, in particolare su Marta, la donna più elegante che lui
avesse mai incontrato. La vedeva triste, ma non come a chi è capitato qualcosa
di brutto, ma triste di quelle tristezze che sanno di solitudine.
E Marta era
così, sola.
Aveva
dimenticato cosa fosse l’amore vero e così per lei gli abbracci erano diventati
semplicemente strette e gli sguardi o le carezze un marcare un territorio,
quello del suo corpo che lei non sentiva più veramente suo. Forse aveva bisogno
solo di libertà e di un po’ di pace, ma si ostinava invece a chiedere solo un
caffè. Luca, chissà perché, la immaginava professoressa di un liceo del centro,
e quando le chiese come andasse con i ragazzi lei confuse, e le si strinsero il
cuore ed il grembo pensando a quei figli che il suo mestiere le avevano
proibito.
Luca ascoltò
quel dolore e si fece serio, le chiese perdono per la sua goffaggine e le
sorrise. Che sorriso aveva Luca, non diceva ne più ne meno di quello che un
sorriso dovrebbe dire, ti faceva sentire abbracciata e basta. Marta sorrise a
sua volta e uscì dal bar felice come una ragazzina.
E si convinse che forse quel vuoto che sentiva dentro chiedeva
solo un sorriso sincero.
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