Finalmente fuori,
l'attesa in quel palazzo si era fatta estenuante. In quel salottino eravamo in
sei dalle 9 di stamattina a sorriderci, ben consapevoli che in realtà eravamo
nemici uno contro l'altro, per un'opportunità di lavoro.
E tutto sommato sono
contento di essere stato scartato, il direttore non è stato equivoco, non gli
servivo. Ed in fondo lo capivo, non servivo nemmeno troppo a me stesso
dopotutto. Ma quel colloquio almeno avrebbe zittito per un po' mio padre.
Non c'è niente di
più bello che camminare con la giornata davanti senza impegni, con la libertà e
l'esigenza di dover far spazio nella testa, sempre con troppi pensieri
intrecciati. Come in tasca le cuffie del mio mp3 strette e incredibilmente
incasinate, così vivo la maggior parte del mio tempo, con il peso di essere ciò
che gli altri vogliono.
Sono pochi gli
istanti in cui decido di premere play e sbrogliare la matassa che ho in testa.
Il mio problema è
che non ho nessuna intenzione di perdere nessuna emozione, anche quelle in
contrasto mi fanno bene. A volte credo
che sia proprio questo casino a permettere al mio cuore di battere ancora e
sempre
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